Il Rabajà 2006 di Giuseppe Cortese è un Barbaresco da antologia

Nessun commento

Stamattina sono stato nell’azienda Giuseppe Cortese di Barbaresco a fare provviste per il nuovo e fantasmagorico magazzino Doyouwine (seguirà a breve ricca documentazione fotografica). Pier Carlo Cortese, figlio di Giuseppe e fratello della Tiziana che racconta azienda e vino nel video, si occupa di vigna e cantina insieme al papà ed è il prototipo del vignaiolo di langa per cui ho un debole. I vini Cortese sono straordinari, tipici, abbordabili e poco conosciuti per quanto valgono. I 4 ettari di Rabajà, autentico grand cru di Barbaresco esposto a sud/sud-ovest, offrono Nebbiolo e Barbaresco di razza, potenti, introversi e magnifici. Mentre caricavamo in macchina le casse (ci saranno novità e sorprese!) ho assaggiato l’ottimo e pronto Barbaresco 2007, bella interpretazione di annata calda che qui ha mantenuto dettaglio e sfumature, e 2 Riserve, la “giovane” 2004 e la 1996, prima produzione.

Quest’ultima, in una bottiglia aperta da 5 giorni, ha appena iniziato la parabola evolutiva dei grandi nebbiolo e conserva una vigoria tannica fitta e appagante. La sensazione è che servano altri 10 anni per godere al meglio del vino, e per almeno altri 20 o 30 non dovrebbero esserci problemi di conservazione.

Sfogliando la guida Duemilavini di Bibenda in cerca del numero di bottiglie aziendali prodotte (50.000 da 8 ettari complessivi), scopro che il Barbaresco Rabajà 2004 Riserva ha preso il massimo riconoscimento (5 grappoli) ma pure che Barbaresco Rabajà 2008 e Dolcetto d’Alba Trifolera 2010 viaggiano entrambi con 4 grappoli: ora, io mi chiedo, è possibile? Il Dolcetto Trifolera è buonissimo, soave, e non si discute ma, insomma, ci vuole Einstein per differenziarlo simbolicamente da un Barbaresco di questo spessore? Nel dubbio, ho preso entrambi.

[Video: Convivium. Foto: Othmar Kiem]

Lascia un commento