Utilizzare con buoni argomenti la parola “piciu” per identificare chi snobba Piazza Duomo

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Quando l’ego di Stefano Bonilli, storico fondatore del Gambero Rosso, non ne impala gli scritti escono fuori cose molto interessanti e analisi centrate, cavolo. Per questo, ho letto con curiosità quasi fraterna la recensione che “il papero” ha fatto pochi giorni fa del ristorante Piazza Duomo di Alba. Recensione che fa seguito ad un’altra egualmente entusiastica a firma Alberto Cauzzicomparsa sulla Gazzetta Gastronomica (splendido l’incipit: “Enrico Crippa, 40 anni, ciclista. E poi Cuoco”, non da meno il crescendo: “Siamo di fronte ad una dei più grandi interpreti mondiali dell’alta cucina contemporanea”) che lo stesso Bonilli conduce con Maurizio Cortese ed Elisia Menduni.

Conosco bene il bistellato Piazza Duomo per un tot di ragioni che delineano una specie di conflitto d’interessi intellettuale senza precedenti* e di cui me ne sbatto allegramente per imbastire un ragionamento sull’antropologia langhetta. Prendo anche spunto dal “Nemo propheta in patria” con cui il giornalista Franco Ziliani riprende il tema espresso da Bonilli nel suo blog Vino al vino.

Dice Bonilli: lo chef Enrico Crippa è unico, il sommelier Mauro Mattei è uno dei migliori in Italia, l’Espresso parla di pranzo dell’anno e “Noi abbiamo fatto una cena tra le migliori di questi ultimi anni, una conferma, se ce ne fosse stato bisogno, di come Crippa sia ormai un cuoco maturo e con una forte identità e personalità”. Per la cronaca, Bonilli non è uno che si accontenta facilmente: “E poi piace anche il suo basso profilo, la passione nel lavoro e la capacità di guida e traino della sua squadra che fanno di Enrico Crippa il cuoco del secondo decennio, niente reality, poco uscite dalle cucine, tanta sperimentazione”. Crippa lavora effettivamente come un somaro, quando non lavora pedala e qualcuno si chiede pure se la fidanzata c’abbia l’amante (nel qual caso mi candiderei puntualmente). Dettagli a parte, Piazza Duomo è un ristorante solido, precario come tutti i progetti dell’alta ristorazione italiana ma realmente di primo livello nel panorama internazionale. Ma, come nelle migliori famiglie, non è tutto oro quel che luccica.

Prosegue Bonilli: “Molti produttori di vino non vanno a Piazza Duomo, un ristorante che a New York, Tokyo o Sydney frequenterebbero e prenoterebbero, perché di Ceretto. Questo te lo dicono coloro che abitano in zona e sanno come va il mondo delle Langhe. Sconfortante ma vero”. Piazza Duomo è unanimemente un ristorante di livello assoluto e le Langhe hanno una concentrazione incredibile di cantine cui fa comodo un locale di rappresentanza supertop. Il problema è che di produttori capaci di fregarsene delle spalle Ceretto ce ne sono pochi, molto pochi, troppo pochi. La prospettiva adottata qui non sono i bilanci del ristorante ma la traiettoria di un comprensorio vitivinicolo, il modo in cui è capace di esaltare le eccellenze. Troppa parte del vino di Langa NON tributa a Piazza Duomo il successo che merita e che il mondo gli riconosce. Poi è pur vero che non tutto il male viene per nuocere e vari produttori frequentano Piazza Duomo pur non essendo in carta i propri vini. Bravi!

Come poi non si sapesse che questo genere di ristoranti è una sanguisuga. Niente, l’orgoglio langhetto (e roerino) prevale, i piemontesi sono taccagni (niente da invidiare a liguri e marchigiani) e temo anche molti dei produttori Doyouwine finiscano nel calderone dei simpaticamente “piciu” (co****ne). Lo dico con dispiacere perché è un atto di miopia che si paga. Che le Langhe non sono né saranno mai qualcosa di paragonabile alla Borgogna del vino lo vedi anche da dettagli come questo. Non volendo poi menar oltre il torrone, adesso mi aspetto solo un pranzo da 40 (QUARANTA) portate prima di fine anno, giusto per festeggiare il fine-dieta.

* La proprietà Ceretto mi dà il pane, il sito di Piazza Duomo è fatto in casa, il sommelier Mauro Mattei è mio amico e lo chef Enrico Crippa – tempo due mesi – mangerà la polvere della mia Bianchi in tangenziale. 

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